A questo stanno cominciando a pensare i politici dell'Unione come
misura drastica ma necessaria di fronte a quella che è vista come una delle
grandi emergenze future delle potenze occidentali.
Rispetto ad altri paesi membri come Francia e Germania, in prospettiva da qui al
2050 l'Italia mostra, secondo un recente rapporto della Bce, una migliore
situazione demografica, il che è un elemento cruciale per la crescita economica.
Peccato che il debito pubblico italiano sia assai superiore a quello francese e
tedesco (oggi raggiunge il 106% del pil, contro il 67-68% degli altri due). Il che
significa che l'Italia ha più bisogno di altri dell'introduzione di vincoli maggiori
di quelli in vigore nelle singole legislazioni nazionali sul fronte delle pensioni.
Forse non si potrà giungere a fissare regole comuni che stabiliscano elementi
sensibili come il carico dei contributi per le varie categorie di lavoratori, o l'età
pensionabile, oppure ancora i criteri per il calcolo dei coefficienti di
trasformazione dei salari in pensioni. Ma sarebbe già un sostanzioso passo
avanti riuscire a determinare alcuni parametri di carattere statistico che
impediscano la sistematica generazione di deficit per gli istituti che erogano i
trattamenti previdenziali e di conseguenza delle casse pubbliche.
I promotori finanziari sanno che le esigenze future di previdenza integrativa
sono, per loro, una garanzia di salvaguardia del loro ruolo nel sistema finanziario
italiano, perché dovranno aiutare tanti italiani a risparmiare in vista della loro
tarda età, quale che sia l'accezione che questa definizione potrà avere nei
prossimi anni, man mano che si allunga la durata media della vita. Le sentenze
dei tribunali, come è successo di recente a Lecce per l'ingiusto attacco
proveniente nientemeno che dal Comune contro la categoria, sanciscono anche a
livello formale, se ce ne fosse ancora bisogno, che i promotori finanziari sono a
tutti i diritti un referente fondamentale per la gestione degli investimenti per
un'ampia fascia di lavoratori-risparmiatori di medie disponibilità. Si tratta di
soggetti che avranno via via crescenti esigenze di copertura, sia previdenziale
sia sanitaria. Occorreranno notevoli competenze per accontentarli.
Nel frattempo il sistema italiano dovrà per forza modificarsi: impossibile
continuare a dare una sanità gratuita e diffusa come è stato finora; impossibile
che l'Italia resti il paese d'Europa dove il tasso di occupazione nella fascia di
lavoratori tra i 55 e i 64 anni sia il più basso, cioè poco sopra il 30% contro un
media del 45%. Né possono sopravvivere situazioni nelle quali alcuni importanti
centri di decisione di spesa, come alcune regioni, potranno continuare ad agire
senza rendere conto del loro operato e senza limiti imposti dal governo centrale:
non è certo questo il federalismo di cui si sente il bisogno.
Chi lavora con il risparmio della gente avrà tutto l'interesse di vedere avviarsi un
processo virtuoso di risanamento non solo dei conti pubblici, ma anche dei
comportamenti, con la riduzione dei privilegi (compresi, magari, quelli non
piccoli di chi sta in Parlamento) e della pratica dell'evasione fiscale. Ricette non
nuove ma non più procrastinabili di fronte alle vecchie-nuove emergenze.
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